Il Tribunale di Roma, sezione specializzata, ha riconosciuto lo status di rifugiata a R., assistita della Clinica di nazionalità Brasiliana, alla luce del rischio di persecuzione fondata sull’identità di genere transgender della ricorrente, a cui la Commissione territoriale di Roma aveva in precedenza negato sia la protezione internazionale che quella speciale ex art. 19, co. 1.1 TUI.
Secondo il Tribunale «dalle dichiarazioni rese dalla ricorrente, emerge una vita segnata, fin dall’infanzia, dalla discriminazione a causa della sua identità di genere». Discriminazioni che, nel contesto del Paese di origine, per natura e intensità ben possono integrare una violazione grave di diritti fondamentali per cui non è ammessa alcuna deroga né bilanciamento.
Infatti, argomenta il Tribunale, «anche se un singolo atto discriminatorio non rappresenta di per sé una persecuzione, molteplici atti ripetuti nel tempo, che vanno ad incidere sull’esercizio dei diritti fondamentali ed irrinunciabili della persona, possono assurgere a persecuzione. Inoltre, l’art. 7 del D.Lgs. 251/2008, al primo comma lettera b), prevede che gli atti di persecuzione possono: “costituire la somma di misure diverse, tra cui violazioni di diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a)”; inoltre, nell’elenco non esaustivo delle fattispecie che vengono previste come atti persecutori, alla lettera f) del medesimo articolo sono espressamente menzionati gli “atti specificatamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia”».
Anche alla luce delle COI più aggiornate, infine, il Tribunale ha ritenuto «che, se rimpatriata, la ricorrente correrebbe il rischio concreto di subire atti violenti e discriminatori tali da ammontare a persecuzione in ragione della sua identità di genere e della specifica provenienza geografica. A ciò si aggiunga il complessivo peggioramento della situazione con il governo Bolsonaro, di ostacolo alla libera manifestazione della propria identità sessuale».
Per queste ragioni, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 e degli artt. 7 e 8 del D.lgs 251/07.