La solidarietà dei migranti è solidarietà!/Migrants’ solidarity is solidarity!

Comunicato congiunto Legal Clinic Roma 3, borderline-europe, Iuventa crew

Migrants’ solidarity is solidarity! (ENG)

Il 20 maggio 2022, la Corte di cassazione deciderà le sorti di 4 rifugiati Eritrei accusati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare per aver prestato soccorso e offerto solidarietà, sul territorio Italiano, a connazionali in fuga dall’Eritrea. Gli imputati hanno già scontato due anni di custodia cautelare in carcere, tra il 2016 e il 2018, con l’accusa di far parte di una rete criminale dedita al traffico internazionale di migranti. Un’accusa crollata già durante il processo in primo grado che non ha accertato la partecipazione ad alcuna rete criminale, né alcuno scopo di profitto nell’aiuto prestato ad amici e parenti.

A Palermo, per un processo scaturito da un’inchiesta collegata a quella romana, un falegname eritreo è stato incarcerato per quasi tre anni con l’accusa di essere Mered Medhanie, il capo della medesima organizzazione criminale –prima che venisse chiarito che si trattava di uno scambio di persona.

A essere rimasta in piedi nei confronti dei 4 profughi eritrei è l’imputazione per aver favorito il transito dei migranti dall’Italia verso altri paesi, integrata da condotte come quella di aver acquistato biglietti ferroviari per tratte nazionali o di aver procurato cibo, vestiario, un posto per dormire a persone che si trovavano in stato di bisogno. In molti casi, il transito dei migranti verso altri paesi non è neppure stato accertato, in altri, le presunte persone offese dal reato hanno testimoniato a favore degli imputati. Ma il “bene” tutelato dal reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare non sono le persone, bensì l’integrità delle frontiere.

Sono moltissime le inchieste che vedono coinvolti imputati migranti e che si risolvono con un nulla di fatto o i cui esiti processuali riducono drasticamente l’impianto accusatorio. Il risultato raggiunto è comunque quello di criminalizzare le stesse reti comunitarie dei migranti, ovvero quelle infrastrutture della solidarietà che ne consentono il movimento. Infrastrutture della solidarietà che consentono la fuga da dittature e guerre, dalla violenza patriarcale e coloniale, che sostengono la legittima aspettativa di poter decidere le sorti della propria vita.

Si tratta della medesima logica che criminalizza la solidarietà del soccorso in mare Anche quando i processi si concludono con l’assoluzione o ridimensionando le accuse, hanno comunque già raggiunto il risultato di fermare le navi e gli equipaggi. Proprio il 21 maggio, avrà inizio a Trapani il processo legato alla più vasta inchiesta italiana sul soccorso in mare, che tiene ferma la nave Iuventa dal 2017, e che coinvolge, insieme alla ONG tedesca, Medici Senza Frontiere e Save the Children. E si tratta della stessa logica che ha visto migliaia di migranti criminalizzati per aver guidato una barca attraverso il mediterraneo, i cosiddetti ‘scafisti’.

I casi dei migranti criminalizzati per solidarietà , però, non hanno ricevuto la stessa attenzione mediatica che viene giustamente riservata alle attiviste e agli attivisti del soccorso in mare e a terra Le imputazioni sono le stesse che hanno coinvolto gli attivisti dell’associazione Linea d’Ombra a Trieste, per il quale il Tribunale ha disposto l’archiviazione, riconoscendo che l’acquisto di biglietti per una tratta nazionale non implica di per sé favoreggiamento del transito, e inquadrando le condotte come solidaristiche. Simile è il caso degli attivisti dell’associazione Baobab, che sono stati assolti dalle stesse accuse il 3 maggio perché il fatto non sussiste

Ma quello che si decide il 20 maggio è un processo che riguarda tutte e tutti perché la solidarietà è tale anche quando a prestarla sono i migranti! È un atto politico che si oppone a un regime dei confini che causa migliaia di morti alle frontiere esterne dell’Europa e perpetua subalternità al suo interno. Quando la solidarietà è prestata da migranti verso altri migranti, troppo spesso un’equazione li equipara a trafficanti o complici, facilitata dall’isolamento e dalla disattenzione pubblica in cui si svolgono i processi. La decisione che verrà presa il 20 maggio riguarda tutte e tutti perché rischia di cristallizzare un’interpretazione della tutela delle frontiere che, una volta di più, le antepone alla solidarietà verso la vita.

 

                                                                                                       

 

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