La Cassazione conferma l’orientamento in materia di traduzione del decreto di espulsione

La Corte di Cassazione, in accoglimento di un ricorso proposto dalla Clinica, ha annullato il decreto di espulsione impugnato, ribadendo il proprio costante orientamento secondo cui la mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua propria del destinatario determina la violazione dell’art. 13, comma 7, del D. Lgs. 286/98, con conseguente nullità non sanabile del provvedimento, anche in presenza dell’attestazione di indisponibilità del traduttore, qualora la stessa sia motivata con l’impossibilità di reperire un interprete di lingua madre; è da ritenersi impossibile la traduzione del decreto espulsivo nella lingua conosciuta dall’espellendo, e consentito l’uso della lingua veicolare, quando l’amministrazione affermi e il giudice ritenga plausibile l’indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore. Quindi la mera attestazione di indisponibilità di traduttore non è sufficiente, ma l’amministrazione deve addurre, e il giudice ritenere verosimili, le ragioni a sostegno dell’indisponibilità di un testo predisposto nella lingua conosciuta (nel caso di specie l’arabo) da sottoporre all’espellendo o dell’inidoneità in concreto di tale testo.

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